Cosa sta accadendo a Milano?
A Milano è una giornata di tempo incerto e stiamo passeggiando per la città, passando per Corso Vittorio Emanuele. Amiamo camminare perché è una dimensione che ci aiuta a riflettere, anche su progetti in corso o decisioni di lavoro da prendere. È come se il movimento del corpo riuscisse a mettere letteralmente in moto le idee e i pensieri più latenti.
Quest’oggi le nostre riflessioni si sono concentrate sullo stato estetico e funzionale di Milano, sul suo spazio ed arredo urbano. Più volte, in questo periodo, abbiamo sfiorato l’argomento nelle nostre chiacchierate, percependo una fibrillazione costante verso un cambiamento non sempre riuscito.
Vediamo, naturalmente, i grandi passi compiuti, ma vediamo anche alcuni “arretramenti” sulla qualità dei progetti e delle scelte effettuate. Accade spesso di non ritrovare alcuna idea in quello che vediamo, rivelazione di una mancanza di cultura progettuale. Qualche esempio?
Osservate la parte nuova di Piazza San Babila, una sorta di “zona industriale” calata dall’alto, con a fianco il progetto di Caccia Dominioni.
Non vi è alcuna connessione, alcun dialogo. Notate, altresì, la differenza tra i lampioni storici e felicemente “datati” di Ignazio Gardella e quelli nuovi da parcheggio di periferia (ritrovate gli stessi lungo tutta la linea, anche in Piazza del Tricolore). Non è comprensibile aver consentito tutto questo, particolarmente in una città che “pretende” di essere la capitale del design.
Un altro tema evidente, non solo in Piazza San Babila, ma anche in altre parti della città, è l’utilizzo di mille soluzioni diverse per le pavimentazioni: cemento, pietre di ogni tipo e geometria, porfido, asfalto sui marciapiedi, anche in Via Monte Napoleone!
E poi c’è una questione grave, ed in costante peggioramento, di manutenzione ordinaria. Al netto degli oggettivi problemi legati ai danni da maltempo, registriamo una scarsa cura del verde pubblico, molte volte poco “ragionato” e senza tener conto dell’inciviltà diffusa. Ed ancora panchine rotte, strade sconnesse, pali storti ovunque.
Cosa sta accadendo a Milano?
“La fretta”, l’assenza di idee, il timore di sorprendere – o forse di effettuare delle scelte, tout court – stanno generando spazi pubblici privi di idee, senza un’identità formale. E registriamo, purtroppo, criticità sul fronte funzionale e del “comfort” di utilizzo.
Un’occasione persa, ad esempio, sono le due ultime linee della metropolitana milanese (M4 ed M5), certamente utilissime ma prive di bellezza. Utilizzo con coscienza un termine indefinito e soggettivo, se vogliamo, ma sfido chiunque a trovare una singola idea progettuale. Una forma anonima, senza un rilievo estetico, ha privato Milano – soprattutto nelle fermate centrali – dell’occasione di esprimere la sua forza culturale. Siamo all’insignificanza di progetto.
Metro a parte, rileviamo le stesse criticità in molti edifici di nuova costruzione, magari performanti sul fronte energetico, ma senza un legame col luogo, con le architetture circostanti. Abbiamo una progettazione povera nei contenuti e nella qualità, a volte addirittura irrispettosa dell’edificato “storico”.
Nessuno sguardo al passato ed al passatismo, ma vi sono alcune operazioni immobiliari, pensateci, che potrebbero essere “calate” ovunque, come un’astronave che atterra, tanto sono prive di un legame col luogo.
Perché non tener conto della forte identità di questa città. Perché non esistono strumenti istituzionali, di cultura adeguata, capaci di esprimere un giudizio sulle proposte dei progettisti, prima di iniziare cantieri in sequenza senza una logica?
Piaccia o no, un edificio privato in uno scenario urbano pubblico ce lo ritroveremo per anni, forse secoli, davanti agli occhi. E questo inciderà sulla qualità della città e della vita quotidiana di tutti. Una bella responsabilità, non credete?
Ma parliamo anche della funzionalità, della manutenzione e della durata. Dobbiamo tener conto del livello piuttosto basso di civiltà di parte della popolazione. Non siamo in Svizzera, non siamo in Giappone, serve essere pragmatici.
Non illudiamo o illudiamoci – per mezzo di rendering bucolici – che gli spazi accoglieranno persone a leggere un libro sotto un albero, sedute su panchine in legno che richiedono una manutenzione annuale che regolarmente non verrà effettuata.
Perché parliamo di tutto questo, noi, che ci occupiamo di case, di decorazione degli interni, di arredi e opere d’arte? Perché pensiamo che questo scenario di confusione formale e funzionale, e di poca cultura, si veda anche all’interno delle abitazioni private.
Sembra che si sia perduto il mero buon senso, schiacciato da una volontà – certamente in buona fede ma non gestita – di sorprendere, di colpire i visitatori. È un ribaltamento logico “pericoloso” perché dovremmo sempre partire da noi stessi, dalle nostre esigenze, non dal potenziale giudizio degli altri.
Per usare una locuzione tragica, che sentiamo spesso, evitiamo di effettuare scelte ricercando “l’effetto WOW”, perché il buon senso rimane vincente.
Siamo noi il punto di partenza. Indaghiamo bene le nostre vere esigenze, essendo consapevoli dei punti di forza e di debolezza. E valutiamo con attenzione gli aspetti di utilizzo degli spazi, degli arredi, di ogni singolo dettaglio.
Crediamo che bellezza e durata possano e debbano andare di pari passo.